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L'ateo idiota e il credente idiota
André Frossard è stato un giornalista e scrittore francese, cresciuto senza educazione religiosa e convertitosi improvvisamente al cattolicesimo a vent’anni. In un libro famoso, “Dio esiste, io l’ho incontrato”, racconta di essere stato egli stesso per anni un “ateo idiota”, il tipo, cioè, che vive “tranquillo” senza Dio e senza porsi alcuna delle domande esistenziali di fondo. Per usare le sue parole: “L’ateo idiota è un caso che conosco bene, è il mio caso, l'ho vissuto nella mia giovinezza, ne ho conservato un ricordo abbastanza preciso per descriverlo. L’ateo idiota si riconosce a prima vista. Egli non pone domande, per cui è ben difficile rispondergli. E' un ateo tranquillo che ha rinunziato a risolvere il lancinante enigma del mondo. E di atei idioti è tutta piena la terra.” Di fronte a una simile oltraggiosa arroganza, appena temperata dall’autoinclusione nella categoria così poco urbanamente definita, non si può rinunciare a fare un’importante precisazione. D’accordo: accettiamo pure la figura dell’ateo idiota; purché però le si metta subito accanto quella del credente idiota, ossia del credente che vive, egli pure, “tranquillo” perché ha ricevuto la fede da bambino come un pacco già confezionato e non vi ha mai guardato dentro: non ha mai neanche lontanamente pensato di metterla in discussione, non si è mai posto di fronte ad essa in atteggiamento consapevolmente critico. È questa la condizione di tanti più o meno fervidi credenti del giorno d’oggi, ed è stata senza dubbio la condizione predominante nei tempi passati, specie nei cosiddetti “secoli d’oro della fede”. Quando cioè il 90 o il 95% degli uomini era analfabeta e le grandi masse, in prevalenza contadine, appresi in tenerissisma età i primi rudimenti della fede, se li portavano fino alla tomba, presenziando disciplinatamente alla messa domenicale, comunicandosi di tanto in tanto e cercando di evitare i peccati più grossi perché dal pulpito gli veniva ricordato senza posa che l’inferno è dietro l’angolo. Se l’ateo idiota è colui che trascura di porsi certe domande – quelle che fanno di un individuo un uomo – perché distratto dalle cose del mondo, il credente idiota è colui che queste domande non ha mai provveduto a porsele per il semplice fatto che, prima ancora che potesse farlo, gli sono sono state date le risposte. In certo senso, è stato preventivamente “castrato” delle sue potenzialità umane più autentiche, ossia dell’attitudine a porsi certi interrogativi e a cercare di darvi risposta in modo autonomo. L’educazione religiosa impartita in tenera età, comunque si voglia giustificarla, è sempre un condizionamento precoce, un plagio, un imprinting. I bambini di quattro o cinque anni che a Radio Maria recitano l’Avemaria e il Padrenostro non sanno quel che dicono, sono scimmiette parlanti; in tempi ormai lontani è capitato anche a noi di recitare questa parte. Il bambino di quell’età potrà forse interessarsi e commuoversi alla storia del bue, dell’asinello e dei Re Magi, magari mentre fa il presepio; ma non sa e non può capire nulla di ciò che si pretende vi sia dietro: nientemeno che l’Incarnazione, ossia la kénosi del Dio che si fa uomo per elevare l’uomo stesso alla vita divina e lo redime dalla colpa originaria immolandosi sulla croce. I buddisti sono molto più avveduti in questo campo: “il buddismo non è una religione per bambini”, ripete il Dalai Lama. È perciò assurdo invitare le mamme che hanno bambini piccoli a far dire loro una preghiera “perché la preghiera innocente ha una grande forza di intercessione davanti a Dio”. Innocente per definizione può essere solo chi non è ancora in grado di distinguere il bene dal male, colui cioè a cui è estranea la dimensione etica dell’agire: il bambino innocente morendo andrà probabilmente in paradiso perché Dio non potrà imputargli a colpa neppure il biscotto rubato al fratellino. Già; ma che valore può avere allora la sua recita pappagallesca? E che idea dobbiamo farci di un Dio che rimette peccati e dispensa grazie sotto la “spinta” di simili exploits infantili? Scimmiette parlanti, abbiamo detto: si può insegnare a un bambino una canzone infarcita di doppi sensi osceni ed egli la canterà beatamente, senza rendersi conto di quel che dice, esattamente come impara e recita certe preghiere. Anna Maria Cenci, convinta che la sempre più frequente scristianizzazione dei giovani è conseguenza dell’ignoranza della fede, riconosceva che purtroppo Battesimo, Prima comunione e Cresima vengono impartiti a chi, per l’età, può capire ben poco del significato di tali sacramenti. Dovremo dire allora che tutta l’educazione, almeno fino alle soglie dell’adolescenza, è di per sé una forma di condizionamento “sleale”? No. Possiamo e dobbiamo insegnare al bambino certi comportamenti pratici, dall’uso del cucchiaio alla gestione dei bisogni corporali, nonché fornirgli con l’andare degli anni certe infrastrutture cognitive: insegnargli a leggere, a scrivere, a far di conto, e oggi anche a maneggiare il computer; dargli qualche conoscenza di storia, di geografia, di scienze; magari avviarlo allo studio di una lingua straniera o di uno strumento musicale …
Ma dovremo pure avviarlo gradualmente a sentirsi responsabile delle proprie azioni e delle loro conseguenze; e soprattutto educarlo a certi valori, dandogli delle norme da seguire nei rapporti interpersonali. Alludiamo in sostanza alla “base biologica” della morale, la cosiddetta “etica della reciprocità”: non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te. Concretamente, ciò significa non essere egoisti né prepotenti, rispettare la persona e la proprietà altrui, non mentire e non ingannare. Date le insidie della società odierna, sarà opportuna anche una messa in guardia contro certe pratiche e certe amicizie. Quando infine il bambino avrà l’età per porsi determinate domande, e solo allora (può accadere anche prima dei dieci anni, specie se càpita di dover affrontare l’esperienza della morte di una persona amata), dovremo offrirgli una guida perché possa consapevolmente trovare le sue risposte fra quelle che gli uomini hanno elaborato nel corso dei secoli. Sempre ricordandogli, appunto, per amore dell’onestà, che tali risposte – a differenza dei principi morali - sono profondamente diverse a seconda della cultura che le ha prodotte. Cosa che del resto egli stesso può oggi facilmente verificare già all’interno del proprio ambiente scolastico. Solo in tal modo potrà diventare quel che ogni uomo dovrebbe mirare ad essere: né ateo idiota né credente idiota.
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