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Le sorprese del Giudizio universale A - Il Giudizio universale sarà caratterizzato, ripete anche padre Livio, dal fatto che sarà, appunto, universale (riguarderà cioè tutti gli uomini di tutti i tempi) e dalla circostanza che in occasione di esso tutti verranno a sapere tutto di tutti. Neanche padre Livio riesce però a dimostrare che esso sia realmente un giudizio: sarà infatti una sorta di megashow, son et lumière, comunque tutto fuorché un giudizio, poiché a quel momento i giochi saranno già fatti per ognuno in virtù del giudizio particolare, sicché non rimarrà che ufficializzare il tutto in forma spettacolare e solenne. Comunque sia, interessa qui soffermarsi sul fatto che alla fine dei tempi tutti sapranno tutto di tutti. Resta da vedere se almeno i beati (meno probabilmente i dannati e le anime purganti) vengano a sapere tutto di tutti già al momento del loro arrivo in cielo (o, rispettivamente, all’inferno o in purgatorio). Ad ogni buon conto, esaminiamo qualche aspetto di questo “boom dell’informazione” che caratterizza l’aldilà. B – Venire a sapere tutto di tutti non può non essere fonte di innumerevoli “sorprese” e di situazioni che definiremo ‘imbarazzanti’. “Ma guarda, il rag. Bianchi, che pareva così innamorato di sua moglie e così fedele! Addirittura con Gianna poi, chi potrebbe crederci? E mamma mia, voleva provarci anche con me! E guarda come mi ha sognato nelle sue fantasie erotiche! Nooo!” Sesso. Sesso solo perché è il peccato che più tende a venir consumato in segreto e a rimanere occulto. Ma il discorso vale per tutti i peccati, che nell’aldilà verranno messi in piazza ed esibiti senza veli agli occhi di tutti. Ovvia l’obiezione: “Questo è un blasfemo esercizio di morbosa fantasia su una realtà sublime, ineffabile, dominata da un ardore di carità che brucerà ogni scoria di passioni terrene.” Un momento. L’immaginario collettivo dei credenti, incoraggiato in ciò dai “maestri spirituali”, ad esempio dai conduttori concordi di Radio Maria, proietta abitualmente nelle realtà paradisiaca i rapporti affettivi terreni, immaginandone la continuazione in quella sede. Quante volte sentiamo dire: “Ma signora, stia tranquilla, suo marito adesso le è più vicino di prima … La sta aspettando … Lo ritroverà per non perderlo più …” E quella povera vedova (o quella madre che ha perso il figlio) si sente tutta consolata. (Senza considerare ovviamente che in tali casi, bluffando, viene dato praticamente per certo ciò che sarebbe invece tutto da dimostrare, ossia che il caro estinto abbia evitato l’inferno.) Ora, se tutto questo non è vendita di fumo, dobbiamo ritenere che i rapporti affettivi personali non vengano totalmente assorbiti e quindi vanificati nel mare dell’amore universale. Lo stesso Dante, che pure insiste sul superamento paradisiaco di ogni passione terrestre, non esita a mostrarci l’esultanza dei beati al pensiero che la risurrezione della carne renderà loro visibili nella loro figura terrena i parenti più cari (Pd 14, 64-68) e non si perita di attribuire a tanti santi e beati, non escluso lo stesso san Pietro, sentimenti umanissimi e intensi. E quanto la conoscenza integrale della realtà terrena possa significare anche in Paradiso si può capire dal seguente esempio. Supponiamo che un uomo, fervidamente credente e innamoratissimo della moglie (potremmo naturalmente invertire i ruoli immaginando una donna al posto dell’uomo), si consoli al pensiero che, quando uno dei due morirà, alla separazione imposta dalla morte seguirà il ricongiungimento definitivo in cielo. Senonché un brutto giorno scopre esterrefatto che la donna da tempo lo tradisce, e proprio col suo migliore amico. La terra gli sprofonda sotto i piedi. Si separa dalla moglie; continua a credere, a pregare e a pensare al paradiso; da buon cristiano si augura che anche la fedifraga si ravveda e si salvi; ma possiamo chiedergli di più? Nessuno onestamente potrà pretendere che continui a immaginarsi su una nuvoletta accanto a S. Pietro al braccio dell’adorata mogliettina. La donna sarà per lui un’estranea, da amare allo stesso titolo e nello stesso modo in cui saranno amate “in Dio” tutte le anime, non certo una creatura da ricercare e prediligere in virtù dei legami terreni. Credo sia ben difficile prospettare sviluppi diversi. Bene. Apportiamo ora un piccolo ritocco alla storia che abbiamo raccontato. Immaginiamo che quell’uomo muoia, con destinazione paradiso, prima di scoprire l’infedeltà della moglie, e che ne venga a conoscenza o al suo arrivo tra i beati o in occasione del Giudizio universale. È psicologicamente possibile pensare che la sua reazione sia diversa da quella or ora descritta, ossia che il rapporto affettivo tra l’uomo e la sposa resti immutato, come se nulla fosse accaduto e nulla fosse stato scoperto? Certamente no, lo shock non potrà essere minore; altrimenti avremmo una inammissibile diversità nel rapporto affettivo tra i due a seconda che la conoscenza del tradimento abbia preceduto o seguito la morte dell’uomo. D’altra parte dobbiamo allora supporre – fatto inconcepibile sotto il profilo teologico – un trauma, una frustrazione terribile in una condizione che già è, o dovrebbe essere, di beatitudine. Lascio la soluzione ai teologi. Mi basta aver mostrato una della tante aporie che scaturiscono dall’impossibilità di armonizzare, come si pretende, lo statuto di universale e impersonale carità e beatitudine degli eletti con la comprensibile attesa dei credenti, restii ad accettare che in tale atmosfera di felicità e amore generalizzati si vanifichino i contorni delle figure più amate nella vita terrena. È un’aporia meno drammatica di quella illustrata in “Madre beata e figlio dannato”, ma non poco significativa. Del resto, sarebbe da vedere come verranno risolte in Paradiso tutte le situazioni di triangolo amoroso (e coi tempi che corrono sarebbe forse meglio parlare di poligono amoroso, lasciando imprecisato il numero dei vertici). Certo, Gesù ha detto che nell’aldilà tutti saranno come angeli in cielo. Ma questo risolve solo il problema più grossolano del diritto a un rapporto coniugale, non quello della situazione psicologica, che non potrà venire completamente cancellato, pena una “disumanizzazione” che per innumerevoli credenti risulterebbe quanto mai deludente, per non dire frustrante. La vanificazione, o addirittura la ridicolizzazione, della dimensione umana della vita paradisiaca può sottrarre un buon 50% alla motivazione al bene di un gran numero di fedeli. Lo si può toccare con mano sentendo tanti interventi di ascoltatori di Radio Maria. C - Se i beati – almeno loro – vengono a saper tutto di tutti già al loro arrivo nell’aldilà, ossia al momento del giudizio particolare, risulta praticamente svuotato di gran parte del suo significato residuo il Giudizio universale. In questa ipotesi, infatti, da tale Giudizio potrà semmai scaturire, paradossalmente, solo una qualche gratificazione per i dannati, che verranno a conoscere le marachelle degli eletti, mentre d’altra parte l’umiliazione di veder messa a nudo la propria miseria non dovrebbe causar loro frustrazioni supplementari, dato che i soli ai quali essa risulterà nuova saranno i loro compagni di sventura, che avranno in ogni caso ben poco da rallegrarsene. Se invece la “rivelazione completa” si avrà solo al momento del Giudizio universale, si pone un altro serio problema teologico. Riconsiderando l’esempio fatto sopra, ci si chiede: la donna infedele, una volta ricongiuntasi al marito in cielo, dovrà continuare a fingere sino al grande Giudizio (cosa indegna di un beato), magari continuando ad amare “clandestinamente” l’amante, vivo o morto che sia, o addirittura egli pure in Paradiso? O darà lei stessa al consorte la traumatica notizia del tradimento? Ancora una volta lascio la risposta ai teologi. N.B. In questa argomentazione non abbiamo considerato le anime presenti in Purgatorio (nonché le anime dei vivi meritevoli di Purgatorio) al momento della fine del mondo, le quali comunque non potranno che essere un’infima minoranza rispetto alla totalità dei beati e dei dannati di ogni tempo. Il loro destino non è mai stato definito dal Magistero. Opinione personale di padre Livio è che esse andranno subito in Paradiso, avendo già purgato il loro residuo di pena mediante l’angosciosa esperienza dell’apocalisse. P.S. Padre Livio nella catechesi mattutina del 9.10.98 ritiene di dover fare una digressione, nel discorso sul Giudizio universale, per toccare, dice, “un problema psicologico che crea disagio a molte persone”: la conoscenza di tutto da parte di tutti in occasione di tale Giudizio. È evidente che qualche ascoltatore avrà espresso le sue preoccupazioni in proposito: vedersi messi così a nudo, sia pure in Paradiso … Senonché il “chiarimento” di padre Livio non chiarisce assolutamente nulla: tutto il discorso si limita a ricordare che, mentre per la giustizia umana anche l’estinzione del “debito” lascia la fedina penale macchiata, la misericordia divina “brucia” letteralmente ogni colpa confessata ed espiata, sicché sarà “come se non fosse mai stata commessa”, “non verrà più computata”, “non se ne terrà più conto”. Già. Ma il fatto che Dio non tenga più conto in alcun modo di queste colpe non esclude che chi legge tutto in Dio “veda” quel passato di cui pure non si tiene più conto. In sostanza, padre Livio non fuga affatto i timori di chi gli ha posto il problema. Per tranquillizzare gli interroganti avrebbe dovuto dire che il male commesso in vita dai beati non verrà mai conosciuto dalle altre anime; ma evidentemente ha ritenuto di non poterlo fare.
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